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Lombosciatalgia: quanto sono utili le classificazioni?

Alice De Laurentiis • mar 23, 2023

La lombosciatalgia è una sindrome dolorosa che coinvolge il tratto lombare della colonna (tra il margine inferiore dell’arcata costale e le pieghe glutee inferiori)1 e le sedi di decorso del nervo sciatico – dalla regione sacroiliaca fino al piede, percorrendo tutto il comparto posteriore dell’arto inferiore.


La sintomatologia può esprimersi in maniera variegata, con dolore: localizzato (generalmente a livello lombosacrale e sacroiliaco) o diffuso in tutto il territorio d’irradiazione nervosa, di entità più o meno intensa, con eventuale compresenza di radicolopatia e conseguenti disfunzioni nell’azione motoria e/o sensitiva del nervo (parestesie, deficit di forza, alterazioni della sensibilità cutanea)2.


Al di là della severità del quadro clinico, la lombosciatalgia rappresenta l’affezione muscoloscheletrica più comune al mondo3, con una prevalenza del 9,4% sulla popolazione generale - secondo le stime del Global Burden of Diseases4, e con un tasso di recidività di circa il 30% ad un anno dal primo episodio5.

Appare evidente, non solo dal punto di vista statistico ma anche nell’esperienza comune, quanto l’ampia diffusione di questa problematica abbia un considerevole impatto sia economico (tanto per il Sistema Sanitario6 quanto per il singolo), sia sulla vita del paziente stesso, vista la compromissione che comporta sulla qualità della vita e sullo svolgimento delle attività quotidiane.

 

La classificazione delle lombosciatalgie è generalmente sottoposta a due criteri: durata del sintomo e conoscenza dell’eziologia.

 

In base alla durata, le lombosciatalgie vengono distinte in:

·       acute (della durata inferiore a 6 settimane);

·       subacute (della durata compresa tra le 6 e le 12 settimane);

·       croniche (della durata superiore a 12 settimane – 3 mesi);

·       ricorrenti (con ricorrenze della durata inferiore alle 12 settimane dall’insorgenza alla remissione di ogni singolo episodio).


In base all’eziologia, nota o meno, vengono distinte in:

·       specifiche (associate a condizioni patologiche conclamate come fratture vertebrali, radicolopatie, stenosi del canale midollare);

·       aspecifiche o idiopatiche (non associate a lesioni certificabili tramite i comuni esami strumentali).


Nella pratica clinica tuttavia, le comuni classificazioni risultano spesso pretestuose nel descrivere l’ampio ventaglio di casistiche con le quali capita d’interfacciarsi.

Definire l’entità della patologia in base alla durata del sintomo non fornisce un vantaggio certo a livello prognostico né terapeutico: una lombosciatalgia acuta potrebbe trasformarsi in cronica o ricorrente, così come, una volta intrapresa una strategia terapeutica, non è detto che i tempi di risoluzione tra una sintomatologia acuta e una cronica siano dissimili, o a vantaggio della prima.


Stesso discorso vale per il modus operandi del clinico: non è possibile stabilire a priori il trattamento più efficace in base alla sola insorgenza del dolore, e il protocollo terapeutico potrebbe essere lo stesso in alcuni casi.


Per quello che riguarda invece il criterio di “specificità”, individuare l’eventuale presenza di lesioni è fondamentale nella scelta della terapia da seguire (principalmente per escludere controindicazioni a certi tipi di stimoli e per lavorare in maniera sicura) tuttavia, anche a fronte di un iniziale vantaggio diagnostico, sussistono comunque delle perplessità.

Anche laddove il dolore sia specifico e l’eziologia nota, non c’è certezza che la risoluzione della lesione primaria (una frattura, una protrusione, una radicolopatia) equivalga alla risoluzione della sintomatologia8. Ulteriori complicazioni emergono nel trattamento della lombosciatalgia aspecifica, che rende evidenti i limiti di molti approcci clinici tradizionali: l’impossibilità d’individuare un segno anatomico/patologico registrabile rende più complessa la ricerca della causa così come la sua risoluzione.


L'insorgenza del dolore non è sempre associata ad un danno tissutale, così come l’integrità dei tessuti non invalida l’esperienza dolorosa del paziente, né esclude la possibilità che il sintomo sia intenso e persistente nel tempo.





1           Burton AK. European guidelines for prevention in low back pain.

COST B13 Working Group. 2004: 1-53;

2           Van Boxem K, Cheng J, Patijn J, Van Kleef M, Lataster A, Mekhail N, et al. 11. Lumbosacral Radicular Pain: Lumbosacral Radicular Pain. Pain Practice [Internet]. 2010 Mar 2 [cited 2021 Apr 3];

3           GBD 2017 Disease and Injury Incidence and Prevalence Collaborators (2017). Global, regional, and national incidence, prevalence, and years lived with disability for 354 diseases and injuries for 195 countries and territories, 1990–2017: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2017. The Lancet;

4           Hoy, D., et al., The global burden of low back pain: estimates from the Global Burden of Disease 2010 study. Ann Rheum Dis, 2014. 73(6): p. 968-74;

5           Da Silva, T., et al., Risk of Recurrence of Low Back Pain: A Systematic Review. J Orthop Sports Phys Ther, 2017;

6           Institute of Medicine (US) Committee on Advancing Pain Research, Care, and Education., Relieving Pain in America: A Blueprint for Transforming Prevention, Care, Education, and Research. 2011, Washington DC: National Academy of Sciences;

7           Babatunde OO, Jordan JL, Ven der Windt DA, Hill JC, Foster NE, Protheroe J; “Effective treatment options for musculoskeletal pain in primary care: A systematic overview of current evidence”; Arthritis Resesarch UK Primary Care Centre, Resesarch Institute for Primary Care & Health Sciences, Keele University, Keele, UK;

8           Moseley GL, “Reconceptualising pain according to modern pain science”; Physical Therapy Reviews, 2007;


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