Caso da manuale:
paziente che si presenta in studio con una lombalgia e portando con sé un corredo di esami strumentali (RX, risonanze, TAC), spesso prescritti dal medico curante o richiesti su iniziativa individuale.
Sui referti capita frequentemente di leggere espressioni come
“degenerazione discale”,
“discopatie”, “protrusione”, “riduzione dello spessore discale” (oggi riporto quest'esempio per praticità, ma vale lo stesso per tante altre casistiche) e da lì parte solitamente una cascata di preoccupazioni e dubbi sul da farsi, ma a volte anche un po’ di sollievo nel sapere che c’è effettivamente una lesione che giustifichi il dolore, salvo poi incorrere in tutta una serie di tentativi di terapia non sempre risolutivi.
Se le diciture funeste che leggiamo sui referti avessero meno significato di quello che pensiamo?
La prescrizione di esami strumentali (radiografia e risonanza magnetica su tutti) riveste grande importanza dal punto di vista clinico, specialmente per individuare la presenza di lesioni o patologie di pertinenza medica e la scelta di un approccio terapeutico sicuro ed esente da rischi. Ma è appunto, importante per il clinico, per chi deve trattare o deve lavorare con il paziente, per capire quale sia l'approccio più adatto al suo caso.
Bisogna sottolineare l’importanza della contestualizzazione dell’imaging clinico, soprattutto tenendo presente l’eventualità che possa costituire, in alcuni casi, un potente effetto nocebo per il paziente che, leggendo il proprio referto intriso di termini tecnici, teme di essere un caso disperato.
Per quanto la diagnostica per immagini sia un passaggio imprescindibile – la cui somministrazione e interpretazione rimane di pertinenza esclusivamente medica – va segnalato come alcuni rilievi diagnostici (in particolare la presenza di protrusioni) vengano frequentemente identificati come esclusivi responsabili di manifestazioni come per esempio la classica lombosciatalgia, riducendo sommariamente la complessità di una sindrome dolorosa non di rado multifattoriale.
Nel caso specifico delle protrusioni discali – la manifestazione più frequentemente individuata e associata alla sindrome presa in esame – è stato recentemente discusso come il loro riscontro sia spesso incidentale.
Che vuol dire incidentale?
Che moltissimi pazienti scoprono la presenza di un'ernia, una spondilosi o altre alterazioni facendo esami strumentali per motivare i propri sintomi quando, in moltissimi casi, loro erano già lì da moltissimo tempo.
A questo punto viene spontaneo pensare: se erano lì da tempo e il dolore si è presentato adesso, vuol dire che ero al limite.
Non è esattamente così, anzi, si tratta di alterazioni estremamente comuni anche in pazienti totalmente asintomatici.
La presenza di degenerazioni discali, alterazioni che oggi si tende sempre più ad attribuire al fisiologico processo d’invecchiamento, è un esempio di come l’imaging clinico sia un dato necessario ma spesso non sufficiente a motivare l’insorgenza e la persistenza del dolore.
Ciò non significa che una protrusione o un'alterazione discale/articolare non possano essere responsabili del dolore, ma che in alcuni casi i sintomi potrebbero dipendere da altri fattori, che magari vengono trascurati totalmente.
Bisogna inoltre tener presente il ruolo che i riscontri strumentali possono rivestire nell’interazione con il paziente e nella sua percezione della propria condizione: è di vitale importanza evitare che la presenza di lesioni (salvo in casi di patologie severe che necessitino di un intervento repentino) fornisca al soggetto un elemento di rinforzo negativo riguardo al dolore.
Volendo fare come al solito l’avvocato del diavolo, ci sarebbe quasi da pensare che riscontri così frequenti di irregolarità anche in pazienti asintomatici mettano un po’ in discussione la validità concreta di queste immagini, PER LO MENO se analizzate fuori contesto, ossia senza valutare il paziente dal vivo e senza considerarne la storia pregressa.
Il messaggio da portare a casa quindi è: la diagnostica per immagini è uno strumento di fondamentale importanza per avere un quadro completo della condizione clinica, e per tutelare sia il paziente che l’operatore, ma
I REFERTI VANNO CONTESTUALIZZATI
nell’ambito della condizione generale del soggetto.
Quando leggete referti terrificanti, accertatevi di farli visionare a qualcuno che possa valutarvi nel vostro complesso e nella vostra complessità, altrimenti si rischia d’innescare un meccanismo di rinforzo senza fine, nel quale il paziente tenderà ad identificarsi sempre come “grave e senza speranza”.
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